Napoli, 29 Giugno 2020 – Il fotografo, così come lo scrittore, scrive. Il primo con la luce, il secondo con l’inchiostro, entrambi catturano attimi che resteranno fissi nel tempo, indelebilmente. Una foto custodita in una scatola, in un album, oggi nella galleria di un cellulare, è una gran chiacchierona. Può avere una lingua affilata come una lama di un coltello, può far piangere più di una cipolla mentre si affetta se non è stata preventivamente messa in freezer. Può regalare tenerezza quando i protagonisti ormai adulti, allora, erano bambini.

Così come in una giornata ventosa la sabbia si ritrova in terre molto lontane, ogni fotografia trasporta chi l’ha vissuta, in un luogo che ha cambiato forma, che forse non esiste più, che ormai non appartiene: il passato. Può essere prossimo o remoto, ma riporta sempre indietro nel tempo, quel tempo che nessuno può restituire, accreditare, ma che quell’immagine, facendo da filo conduttore tra sé e la mente, senza che quasi ce ne si accorga, regala.

Sono regali belli questi, sono gratuiti e sono memoria.

Possono essere anche sorprese inaspettate, può capitare che, in una calda domenica di inizio estate, Messenger invii una notifica, informando che qualcuno vuole mettersi in contatto. Svogliatamente accetti, conscia del fatto che chiunque sia, avresti chiuso la cosa in poche battute, con gentilezza e velocemente.

Invece ti ritrovi a bocca aperta, perché conosci la persona anche se non la vedi da più di trent’anni e l’invio è del tutto inaspettato.

“Un tuffo nel passato, ricordi?”

Segue una foto. È una vecchissima foto, la guardi stupita, riconosci alcune persone ma non tutte, sposti lo sguardo e leggi il mittente, ti ritrovi virtualmente a urlare.

“Marisaaaaaa!”

Delle dita si stanno muovendo sulla testiera, stanno scrivendo.

“Quanti anni sono passati, ne avevo sei, ora ne ho 58”

Non ti eri neanche accorta della presenza della torta con le candeline, era la festa del suo compleanno, involontariamente conti le candeline.

Ispezioni la foto, c’è una bambina, è una cucciola, la guardi.

Per rigore di logica dovresti essere tu, ma di primo acchito non ti riconosci, non avevi mai visto una tua foto a quella età. Continui a guardarti alla ricerca di un’illuminazione, poi quegli occhietti un po’ spaventati, ti aprono la mente.

Ti senti come la sabbia, in un baleno percorri 800 chilometri, cancelli anni e ritorni bambina. Ricordi quella festa, quell’uomo che appariva un gigante, quell’aggeggio che aveva tra le mani, quella specie di lampada accecante che sembrava ti stesse sparando ogni volta che te la puntava addosso, quel rumore che faceva così paura. Erano macchine fotografiche ingombranti con flash importanti e agli occhi di una bambina di 4 anni, degli anni ’70, rappresentavano lo sconosciuto, il mostro delle favole.

Grazie amica lontana per aver voluto condividere in un caldo pomeriggio di prima estate, un pezzetto della tua vita con me.

Perché una foto è anche questo, è ricongiungere, è risvegliare affetti, è comunione.

 Lella